

Magnifico! Ciclopico! Cos’è?
È un torchio. Per premere le vinacce. La produzione di vino era enorme nella zona! Ne trovi tanti. A Roccapiemonte, a Lanzara o altrove. Ma non come questo. Perché è di tipo industriale! È un albero di dodici metri! Anche con le radici. E questo è raro!
Come funzionava?
Dalle canestre le vinacce venivano gettate con una pala alla base del torchio. C’è una grande vite. Si mettevano tavole di legno nel contrappeso. Giravano la vite e l’enorme peso scendeva sulle vinacce e le pressava. A tonnellate! Ma solo nel commodo del duca!
Perché commodo?
Il duca aveva possedimenti in tutto il territorio. Dava ai suoi coloni l’opportunità di trasformare la produzione di uva mettendo a disposizione ambienti e strumenti per fare il vino. I contadini avevano cioè la comodità di farsi il loro vino negli spazi del duca.
Che ci guadagnava il duca?
Il contadino coltivava la vite. Portava il raccolto di uva al duca. Il duca metteva a disposizione i suoi commodi per trasformarla in vino. Alla fine il contadino pagava con una percentuale di vino o anche in moneta, secondo patti precedentemente stipulati.
Qui ci sono le botti…
È il cellaio! Dove era stipato tutto il vino prodotto. Ogni famiglia aveva la sua botte. E un numero identificativo. A cui corrispondeva una chiave. Questa è la 12! In un libro mastro era scritto chi era la famiglia della 12 e quali erano gli accordi con il duca. Così per tutti.
Che risulta dalla contabilità?
Erano 53 famiglie! Abbiamo quindi 53 postazioni di botti. E 53 chiavi di alloggio. E di là c’è un poggio con le mattonelle fino alla numerazione del 53. Ogni chiave veniva sistemata su questo banco a disposizione delle famiglie.
Come si spillava il vino?
Il contadino arrivava con il suo numero personale. Parlava con il custode. Dopo il controllo sul libro mastro riceveva la chiave della botte, poggiata su queste mensole con le mattonelle numerate per le postazioni di tutti gli altri contadini.
Cos’è la chiave della botte?
Ogni chiave era diversa dall’altra! Ogni botte aveva sagoma solo per la propria chiave. E tutte numerate. Questa è la chiave 14. Il contadino della 14 arrivava, si faceva identificare dal custode, riceveva la chiave 14, andava alla botte 14 e poteva spillare solo il suo vino!
Ma di che qualità era?
Il vitigno era la streppa rossa. Non è più in uso. Troppo lavoro e poca resa per il contadino. Ma oggi ancora si produce vino eccellente con vitigni derivati dall’antica streppa rossa di Roccapiemonte: il Piededipalumbo e il Piedirosso! A Tramonti o in Costiera Amalfitana.
Tradizioni da riscoprire…
È come per il pomodoro San Marzano! Altri ibridi lo hanno superato. Sicuramente a discapito della qualità! Però oggi si è tornati alla ricerca del San Marzano! Quindi ci rendiamo conto che quello che avevamo un tempo era sicuramente migliore!
Quanto era importante il vino a Roccapiemonte?
A partire dalle origini, dal Millecinquecento forse, a Roccapiemonte c’è stata sempre una grossa produzione di vino. Fino agli anni Cinquanta del Novecento. E rappresentava ben il 70-80% del PIL locale! Roccapiemonte viveva quindi di questa produzione!
La Festa del Vino…
Fu istituita da Mussolini! Ogni paese d’Italia la festeggiava. Ma a Roccapiemonte fu fatta fino agli anni Cinquanta! Contadini su carri pieni d’uva trainati da buoi! Tutte le case addobbavano vetrine con grappoli d’uva, perché veniva premiato il Grappolo più bello!
Puoi parlarmi del lauro?
Si utilizzano le foglie. Per usi aromatici in cucina. Per infusi digestivi. Per liquori contro tosse e bronchite. Per oli essenziali in cosmetica. Per preservare libri e pergamene. Dall’antichità si preparavano con il lauro corone per re e imperatori, atleti e filosofi!
Storia, cultura ed eccellenza botanica…
E anche il lauro era una produzione di Roccapiemonte! Tutto il monte Caruso era coltivato a lauro. Per la sua posizione soleggiata. Per il suo terreno. Ciò consentiva una grande produzione di lauro. Che veniva raccolto dai contadini in fascine e portato nei commodi del duca.
Perché?
Il duca portava il lauro a Napoli! Lo stoccava nei suoi commodi. Ogni settimana partiva da Codola un treno del duca! Vino, olio e lauro. Aveva un contratto con le Strade Ferrate Italiane. Ma la produzione del lauro a Roccapiemonte è terminata agli inizi del Novecento!
Il trappeto…
In dialetto rocchese la talpa è chiamata trappito! Non vede la luce. Sta sotto terra. E chi lavorava in un trappeto, cioè dove si trasformano olive in olio, era chiamato trappitaro. Non doveva mai vedere luce e sole! Perché dannosi alla produzione dell’olio.
Quanti erano i trappitari e in che condizioni lavoravano?
Circa sette persone. Ma variavano a seconda delle esigenze. La lavorazione durava quindici o venti giorni. E in questo periodo i trappitari non potevano uscire fuori. Erano segregati! Lavoravano, mangiavano e dormivano nel trappeto. Per non subire contaminazioni esterne.
Chi veniva al trappeto?
Solo i coloni che lavoravano nelle terre del duca! Coltivavano gli ulivi, raccoglievano le olive e portavano la produzione dal duca per trasformarla in olio, secondo patti e accordi stabiliti precedentemente e precise regole da rispettare fino alla consegna.
Regole?
Il processo di lavorazione delle olive nel trappeto del duca era inflessibile! Oggi se vai in una industria alimentare vi è molto rigore igienico. Ci sono procedure da seguire. Per pulizia e igiene. Per la protezione degli alimenti. Anche allora c’erano le stesse regole!
Spiegami…
Il contadino arrivava con le sue olive. Ma l’accesso era sbarrato da un cancello. Non poteva accedere all’interno, per pericolo di contaminazioni con altre lavorazioni. Quindi le scaricava in questo locale chiamato olivaria! Le accantonava per la maturazione e andava via.
Maturazione?
Perché all’epoca, a differenza di oggi, le olive si lasciavano maturare prima di essere molate nella macina del frantoio! E appena giungevano a maturazione, il contadino ritornava. Ma sostava sempre nell’olivaria. Era interdetto dagli altri ambienti operativi!
Quindi?
A quel punto usciva il capo trappitaro! Osservava con sapienza la partita di olive maturate. Stabiliva una resa. Poi faceva il patto con il contadino. E diceva: Una parte la devi a me! Due parti al duca. Il restante a te! Si stringevano la mano e l’accordo era concluso.
Il capo trappitaro prendeva tutta la sua parte?
Quella parte era divisa tra tutti i trappitari! Non avevano una giornata. Non avevano una paga. Ma prendevano per il duro lavoro solo parti di olio di oliva, secondo loro accordi interni. In genere questi specialisti venivano a Roccapiemonte dal lontano Cilento.
Fatto l’accordo, che succedeva?
Si apriva il cancello. La partita di olive entrava. Subito dopo il cancello si richiudeva. E fino a quando quella partita di olive non veniva lavorata fino a diventare olio, l’intero trappeto non poteva essere utilizzato per altri contadini!
Per la tutela della qualità…
E al termine i commodi venivano lavati! Per evitare contaminazioni con la partita successiva. Solo a quel punto il capo trappitaro faceva il patto con un nuovo contadino! Oggi abbiamo lo stesso concetto. Ma secoli fa già si faceva! E non c’erano cartelli ma barriere fisse.
Fammi capire…
Questo è il cancello del trappeto. È all’interno di una stanza. Puoi osservare ma non puoi entrare. Ha tre aperture. Una per il capo trappitaro che va a fare il patto. Altre due per far entrare la partita di olive. Ma il contadino non aveva mai accesso all’interno!
Però adesso entriamo…
Questo è il frantoio! Dove si molavano le olive. Si otteneva la pasta di olive. Con questa macina in pietra. Ma c’erano anche spazi di servizio! Infatti queste stanze erano destinate ai trappitari. In questo locale mangiavano. In quest’altro dormivano. In letti a castello!
Cosa mangiavano?
Solo verdure! La carne la mangiavano l’ultimo giorno. Insieme al duca. Era una festa rituale per celebrare la fine della campagna olearia! Il duro lavoro era terminato e finalmente i trappitari potevano tornare a casa con le loro parti di olio.
Come avveniva la lavorazione?
La pasta di olive veniva raccolta con una pala di legno e spalmata sui fiescoli. Erano sottili e robusti dischi di vimini intrecciato. Venivano riempiti di pasta di olive e si sovrapponevano l’uno all’altro. Poi si mettevano in quella pressa.
E iniziava la raffinazione…
Si versava acqua calda sui fiescoli. La pasta di olive restava imprigionata. L’olio colava giù. Attraverso questo condotto arrivava nella fossa. Lì c’era l’orcio. Raccoglieva l’olio depurato. Ma era sporco! E doveva essere ulteriormente raffinato.
Dove?
In queste stanze! Dove la temperatura era molto alta. Ecco infatti un camino per il fuoco. Qui facevano l’acqua calda per versarla sui fiescoli nella pressa e iniziare a purificare l’olio. Quindi lo portavano negli orci in questa altro locale chiamato inferno!
Inferno…
Perché le temperature dovevano essere altissime! Qui si lavorava come in un inferno! Lo puoi vedere dall’annerimento delle pareti e della volta. Lì c’è infatti una fornace per garantire sempre calore intenso in tutto questo ambiente.
E quella grossa vasca?
L’olio si versava lì! Gradualmente si scioglieva e veniva a galla. Acqua e impurità defluivano esternamente. Tutto quello che affiorava era olio puro! I trappitari lo raccoglievano con dei mestoli, lo versavano in altri orci e quello era il prodotto finito!
Poi?
Veniva depositato qui nell’olearia, accessibile anche dall’esterno. Il contadino entrava. Prendeva la sua parte di olio secondo il patto e se ne andava. Le due parti del duca e la parte dei trappitari venivano invece sistemate in quest’altra stanza!
Un ciclo impeccabile…
Tutto il trappeto era un percorso di trasformazione di olive in olio secondo rigide e precise norme. Attività consecutive e coerenti. Si iniziava e si finiva secondo un protocollo inviolabile e obbligato. Non potevano farlo diversamente!
Adesso dimmi: l’olio era buono?
L’olio che si produceva dal duca era ottimo! Era fatto con la rotondella, la qualità delle olive caratteristica del territorio rocchese. Ancora oggi, se vai da qualche contadino, la gente domanda: Ma questo è il famoso olio di Roccapiemonte?